Le calde domeniche di maggio ispirano lunghe e piacevoli passeggiate nella natura, lontano dalla confusione, possibilmente alla riscoperta di beni culturali e paesaggistici molto spesso trascurati. Questa volta, grazie all’evento organizzato dalla Pro Loco Città di Matera, che ha visto coinvolti due tra i più grandi conoscitori della “Matera sotterranea”, Enzo Viti e Teresa Lupo, è toccato al Parco delle Cave di Matera, un’area che si estende per diversi ettari lungo la strada statale 7 via Appia (tra i rioni San Pardo e Serra Rifusa, SS 7 direzione Taranto), inglobato nel Parco della Murgia Materana e delle Chiese Rupestri. Le vere protagoniste di questa escursione sono state proprio le cave di “Tufo”, così viene impropriamente definita nel territorio murgiano la roccia calcarenitica (e non di origine vulcanica) tipica di queste aree. Questo materiale ha giocato fino agli anni 60 un ruolo fondamentale per la città dei Sassi.
Prima di approfondire sullo stato in cui versa il parco, è doveroso fare una introduzione storica che ci aiuta a capire meglio la valenza dell’area. Le abitazioni e le chiese dei vecchi rioni “In tufo” sono, nella maggior parte dei casi, costituite da due parti: la prima scavata nella roccia, la seconda (comunemente chiamata “Lamione“) costruita esternamente con i materiali di risulta. Con l’espansione demografica che si verificò in città a partire dal 1600, il perimetro urbano fu costretto via via ad allargarsi, arrivando ad interessare la zona comunemente detta “Il Piano” (che va da via San Biagio fino in via Ridola, passando per piazza Vittorio Veneto). Sorse così un grande problema: il tufo estratto dalle grotte non riusciva a soddisfare la richiesta di materiale per le nuove abitazioni. La soluzione era però a portata di mano, a qualche chilometro dall’abitato: nacquero così le prime cave di “Tufo”.
Percorrendo la via Appia si nota come l’attività dei cavatori, con il passare dei decenni, assunse un ruolo sempre più importante. Come testimoniato dalle tantissime cave visibili in tutta la loro maestosità lungo la statale; solo una ad oggi è in funzione (la si nota seguendo le indicazioni per Murgecchia, dopo aver superato il Santuario di Santa Maria della Palomba). A queste bisogna aggiungere quelle oggi nascoste dalla vegetazione; alcune di esse, infatti, dopo aver terminato il proprio ciclo produttivo sono state riempite di rifiuti e scarti di lavorazione e ad oggi risultano difficilmente localizzabili.
Dopo gli anni ‘6o, l’utilizzo sempre meno frequente del “Tufo” da parte dei costruttori ha fatto si che le cave perdessero di importanza e utilità. Questi luoghi furono così abbandonati, ridotti a discariche, in una parola sola dimenticati, mentre i cavatori si videro costretti a dedicarsi ad altri mestieri. Per anni diversi studiosi ed appassionati come Enzo Viti e Teresa Lupo hanno cercato di salvaguardare e recuperare quest’area, consapevoli dell’immenso patrimonio storico e culturale che essa racchiude. Basti pensare, ad esempio, alle cave avviate intorno al 1600, ai diversi ambienti ipogei sparsi nella zona, oppure alle aie di Colangiulli (piccoli piazzali pianeggianti e di forma circolare, dove i muli calpestavano le spighe di grano per favorire la separazione dei chicchi e dove, successivamente, grazie al vento avveniva la separazione dalla paglia) situate subito dietro il Mulino Alvino. Per non parlare delle chiese rupestri sparse nel territorio, come la chiesa di Cristo la Gravinella, le antiche masserie, le cave e le testimonianze lasciate dai cavatori (come presso la Cava del Sole), le lame nella Murgia, le diverse specie di piante rare che in questo habitat vivono e tanto altro ancora.
La grande importanza che l’area riveste non è stata, ad oggi, recepita dalle varie amministrazioni che si sono susseguite, molto spesso insensibili a questo tipo di tematiche. Il Parco delle Cave di Matera rimane un miraggio, nonostante i progetti, i tentativi maldestri di recupero e le promesse; di certo non basta il recupero della Cava del Sole (oggi utilizzata come location per eventi all’aperto). Alle ingenti perdite che il parco (e di conseguenza la città) ha già subito (basti pensare alla scomparsa della chiesa rupestre di San Gregorio, inghiottita anch’essa da una cava) si aggiunge la minaccia sempre più concreta delle ruspe delle varie lottizzazioni, che vorrebbero accaparrarsi questa zona di Murgia Materana in quanto la roccia solida garantisce alle imprese edili degli scavi meno profondi. L’ente Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano difficilmente riesce a difendere i suoi confini, entro cui insistono le cave.
In questi casi il buon senso dei cittadini non basta. Da una parte chi è proprietario di queste terre dovrebbe porsi come obiettivo quello garantire continuità alla storia, invece di spazzarla via. In poche parole lasciare intatto il patrimonio al fine di renderlo disponibile alle generazioni future. Dall’altra le amministrazioni dovrebbero porre dei freni alle ambizioni espansionistiche dei sostenitori del cemento. Una cosa è certa: occorre salvaguardare questo immenso patrimonio che fa parte del nostro passato, neanche tanto lontano, e quindi della nostra storia. Il Parco delle Cave di Matera non deve essere l’ennesima occasione persa dalla città, può essere davvero realtà, basta crederci, con l’aiuto di tutti.