La lavandaia anche nel materano rientrava tra le attività che in passato venivano svolte dalle donne. Un lavoro lungo ed intenso, faticoso, che molto spesso si protraeva nei giorni. Camminando tra le abitazioni dei Sassi era frequente osservare ragazze, signore adulte o anziane intente a pulire i panni per la propria famiglia, per conoscenti o, in forma di vero e proprio mestiere retribuito, per conto di altre famiglie benestanti; in quest’ultimo caso l’incarico veniva conferito dal signore benestante (” ‘U patrjn”) ad una donna ritenuta di fiducia, che molto spesso coincideva con la moglie del fattore (“La migghiar du fattaur”).
In ogni casa si procedeva con una certa frequenza al lavaggio della biancheria (“Biancarij”), delle lenzuola (” ‘U rjnzul” e ” ‘U ghiascin”) e degli indumenti personali (” ‘U pònn”); l’intervallo di giorni poteva variare in base al grado di agiatezza ed alla cultura igienico-sanitaria della famiglia, a dir la verità molto scarsa in passato, circa 15 giorni per le famiglie benestanti, oltre 1 mese per i più poveri. Oltre che nei vicinati, le lavandaie facevano il bucato (“La ljssij”) nei pressi delle fontane o vicino delle grandi vasche in rame, in dialetto “La pjl”, letteralmente “La pila”, la classica pilozza in porcellana dei giorni nostri. La lavandaia, nei pressi della propria abitazione, lavorava “Jnd ‘u lavannèr”, ovvero nel lavatoio. Per i lavaggi si cercava di sfruttare le giornate senza pioggia, per consentire di asciugare i panni al sole (“A cèr a saul”) sulle funi sorrette da forcelle (“Frcèdd”). Se la bianchera era umida si cercava di proseguire l’asciugatura in casa, su un telaio posto su un braciere (“Frasciàr”).
Per il lavaggio era fondamentale, ovviamente, la presenza di acqua; nelle abitazioni e nei vicinati dei Sassi questa era garantita dai pozzi (“Piz”), i quali accumulavano acqua piovana (vi invitiamo a leggere il nostro approfondimento sul “Sistema di raccolta delle acque“, tra le motivazioni principali che hanno permesso ai rioni Sassi di essere inseriti nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità UNESCO). Nella zona del “Piano” (l’attuale piazza Vittorio Veneto), l’approvvigionamento idrico avveniva grazie all’enorme cisterna del Palombaro Lungo. L’acqua veniva prelevata con secchi di rame (” ‘U succhij d rèm”) attaccati ad una corda di canapa (“Cuannapjd”) o una corda di metallo (“Catàn”). La costruzione della Fontana Ferdinandea in piazza Vittorio Veneto permise l’approvigionamento idrico sia per uso potabile che domestico (quindi anche per il lavaggio) per tutta la zona del “Piano”. L’acqua veniva raccolta anche dai bambini nei recipienti di terracotta (” ‘U rzzaul”). Solo durante il periodo fascista la città fu dotata dell’impianto idrico; in diversi vicinati dei Sassi furono installate fontane con l’intento di migliorare le difficili condizioni di vita.
Inizialmente il detergente utilizzato era rappresentato dalla cenere, successivamente dal sapone ottenuto dal sedimento dell’olio (“La morij d l’ughij”). Il catino (“Vacjl”), la bagnarola (“Bagnaraul”), la borda (“Cuannapjd”), le mollette (“Ngappit”) e lo stricaturo (“Strjcatjr”) erano i ferri del mestiere. Dopo le fasi di insaponatura (“Nzapnè”) e messa a mollo, c’erano le fasi di risciacquo (“D rjcjndèc”) e “strizzatura” (“Strangj”), per eliminare l’acqua assorbita dai tessuti (“Do rebb”). Quando i panni dovevano essere raccolti e piegati (“Chjchèt”) spesso servivano almeno due donne. Infine si procedeva con la stiratura (“Stjrè”) e messa in ordine nelle ceste di vimini (“Spèrt”); i proprietari degli indumenti procedevano con la sistemazione (“Arrjpè”) nel comò (“Cmaun”), nel guardaroba (“Guardarrebb”), nella cassa panca (“Coscij”) o nel comodino (“Clnnett”).
Per calmare i bambini irrequieti, che spesso accompagnavano le donne durante il lavoro, venivano cantate alcune canzoni di cui vi proponiamo un esempio:
Maria lavava, Giuseppe stendeva, il Bimbo piangeva, dal sonno che aveva. Stai zitto, mio figlio, che adesso ti prendo in braccio. Stai zitto figlio mino, e ti do il latte che vuoi, così mi fai finire di lavare. Dormi dormi e fai la nanna, fai la ninna nanna figlio mio. |
Maria lavev Gjsepp spannav u fugghij chiangiav Du sun ca tnav Ciut ciut fughij mji ca mo t’egghia pugghiè n’broz a mji ciut ciut fughji mji pa ti de u lo ca vuij ca ma fè frnasc u fatij durm durm i fe la non Fe la ninna non fughij mji |