E’ ancora forte l’usanza che vede la famiglia riunirsi per la cena della vigilia di Natale; si aspetta lo scoccare della mezzanotte per festeggiare in compagnia dei parenti la nascita di Gesù Bambino. Durante la cena non possono di certo mancare le pettole e le cartellate, mentre l’attesa della mezzanotte viene ingannata con le carte o con altri giochi caratteristici di questa festa. Gli adulti giocavano (e giocano ancora oggi) per lo più a stoppa (“La staupp“), a briscola (“Brusc’l”) o ai tre soldini (“Cucù“), mentre i bambini si dilettano con il gioco dell’oca (“La pop’r“). Il gioco che più caratterizza le festività natalizie è sicuramente la tombola (“La taumbl“), magari usando legumi o pezzetti piccoli di buccia di arancia o mandarino come segna-caselle.
In passato, quando non erano diffusi (e non ci si poteva permettre) lo spumante ed il panettone, allo scoccare della mezzanotte si usava scambiarsi gli auguri ed inzuppare i taralli in un bicchiere di vino. Per i bambini c’era qualche dolcetto mentre solo quelli appartenenti alle famiglie più ricche potevano accendere per strada le stellucce. La famiglia, secondo tradizione, usava compiere il rituale di benedizione della casa portando in processione per tutte le stanze il pupo che rappresenta Gesù Bambino. Questo veniva posto nelle mani di uno dei bambini, solitamente il più piccolo; tutti si disponevano in fila indiana e si girava per le stanze intonando canzoni in dialetto materano tipiche del Natale. La canzone natalizia materana più popolare è sicuramente “‘U cont du Natèl“, il canto di Natale, nel video cantata dal coro dei Cantori Materani in piazza San Pietro, a Roma, il 24 dicembre 2012 in occasione dell’inaugurazione del presepe dell’artista lucano Franco Artese. Alla fine del percorso il pupo veniva collocato nella culla del presepe, all’interno della mangiatoia. Altre famiglie usavano invece attendere la mezzanotte in chiesa, assistendo alla funzione religiosa.
Natale era finalmente arrivato. Il mattino seguente i bambini si recavano nelle case dei parenti per fare gli auguri di Natale ai familiari, con la possibilità di ottenere qualche soldo o, come nella maggior parte dei casi, un pugno di legumi o fichi secchi. Tuttavia, ci si accontentava e si gioiva per quel poco che si aveva. La famosa letterina scritta dai bambini e rivolta a Babbo Natale è tipica di tempi più recenti; la lettera veniva riposta sotto il piatto del genitore, per poi essere letta durante il pranzo. Il testo conteneva al suo interno i buoni propositi di sempre sia per i bambini che per gli adulti.
Nel giorno successivo al Natale, cioè a Santo Stefano, si era soliti non mangiare tutto ciò che contenesse nocciole (“Njcedd“) o mandorle (“L’amell“), oppure mandarini (“Mandarjn“) o arance (“Marongj“); secondo la credenza popolare chi trasgrediva questa semplice regola subiva sul proprio corpo la formazione di foruncoli (“Frignl n’ghjl“).