L’estrema povertà che attanagliava i Sassi ed i suoi abitanti spingeva molte famiglie a convivere all’interno di piccole ed umide abitazioni (dette in gergo lamioni, “Lamiaun“) con gli animali; spesso le persone erano divise dalle bestie da un semplice telo. Coloro che possedevano appezzamenti di terra, invece, preferivano usare le case di campagna (“‘O cuasidd“) come luogo in cui portare avanti l’allevamento. Capitava molto spesso di vedere nelle case dei Sassi, tra i bambini e gli oggetti di uso domestico, galline, pecore, tacchini, asini e più raramente anche i maiali; questi ultimi rappresentavano un lusso che in pochi potevano permettersi.
I maiali venivano alimentati con i pochi avanzi di cucina, con le ghiande (raccolte nelle campagne o nei boschi di quercia) e con il granturco. L’animale veniva ucciso “A trucco” (come si usava dire), ovvero dopo essere stato distratto dagli amici ed i parenti dell’allevatore. Il maiale sembrava quasi ad un tratto capire che il pericolo si stava avvicinando, vista la confusione che gli si creava intorno, fatta di risate e scherzi; in questo momento iniziava quindi ad emettere un grugnito che somigliava quasi ad un lamento, un pianto che in dialetto i materani chiamavano “‘U piont d’accidmjnt” (ovvero il pianto della morte). L’uccisione avveniva su di un tavolo (‘“U tovl“) usando alcuni arnesi come i coltelli (“‘U crtèddr“) ed alcune bacinelle (“‘U vacijarl“). L’animale veniva quindi bloccato e trascinato sul tavolo ed infilzato all’altezza della gola. L’agonia del maiale era lenta, al termine del quale si procedeva con la raccolta del sangue e la rimozione degli organi e delle interiora.
La carcassa del malcapitato animale veniva prima divisa a metà e successivamente subiva la rimozione delle setole e dello strato superficiale della cute. Ogni parte del maiale veniva sfruttata, compresi gli scarti elencati in precedenza: le setole (“‘U pjl du purch“) servivano per fare i pennelli mentre la pelle (“‘U scurz du purch“) veniva impiegata nel sugo per darne il sapore. Inoltre, le budella (“L’andrèm“) venivano riempite di carne tritata grossa per farne le salsicce, le zampe (“‘U zampaun“) si cucinavano con i legumi, il lardo (“‘U lord du purch“) si usavano per insaporire il sugo oppure riciclato come sapone (dopo averlo fatto bollire con la soda caustica), o ancora usato per ingrassare gli scarponi di cuoio ed i lacci al fine di conferire loro maggiore resistenza. Infine la pancetta (ovvero la ventresca, “La vntrasch“) veniva salata, pepata ed affumicata per essere destinata alla consumazione, ed infine il sangue, usato per fare il famoso sanguinaccio (“‘U sanguinoccij“, foto a sinistra).
Prodotti come la salsiccia (“La salsuzz“), il salame (“‘U salèm“), la soppressata (“La s’bbrssèt“) o il prosciutto (“‘U prsitt“) generalmente venivano appesi in un luogo asciutto e fresco, il più delle volte costituito da lamioni con volte alte ed arcuate, onde evitare sgradevoli sorprese ad opera di animali come i gatti. Spesso, oltre all’essiccatura naturale, i salami prodotti venivano affumicati dal fumo ottenuto facendo bruciare le frasche di piante profumate, tra cui alloro o rosmarino. Come ultima parte del maiale, la testa veniva cotta sulla brace con il caratteristico limone in bocca.