Oltre al maiale, anche per un altro animale il carnevale non rappresentava un periodo dell’anno proprio felice. I materani, secondo tradizione, usavano mangiare durante queste feste anche la carne delle pecore ritenute non più produttive sia per il latte che per la lana. La carne di pecora vecchia (“Pec’ra vecchij”) è molto dura, per questo motivo richiede una cottura prolungata.
Il proprietario metteva su di un tavolo l’animale, ormai senza vita, e ne rimuoveva il vello. Tale procedimento veniva effettuato incidendo con un taglietto la punta di una zampa ed infilando un beccuccio cavo per insufflare aria e favorire lo scollamento completo di tutta la pelle dallo strato sottostante. Successivamente la carcassa della pecora veniva pulita dalle interiora, fatta a pezzetti, pronta quindi per essere cucinata. Visto l’elevato peso della pecora, che va dagli 8 ai 10 Kg., si usava cucinare tutta la carne ricavata invitando al banchetto l’intero vicinato (in dialetto “‘U vjcjnonz”); il tutto ovviamente accompagnato da musica e balli improvvisati all’aperto, bevendo del buon vino paesano (“Mjr paisèn”).
La mangiata, che aveva come portata principale la carne di pecora, veniva chiamata “La pignata”, in dialetto “La pignèt”, dal nome del contenitore di argilla somigliante ad un’anfora (“Capès”) dentro il quale veniva cotta, a fuoco lento e per tanto tempo, la carne. Nella pignata oltre alla carne di pecora, spezzettata, venivano introdotti altri ingredienti come le patate sbucciate e fatte a pezzi (“‘U patèn sczzlèt i tagghièt”), la cipolla (“La cjpaud”) affettata o addirittura intera, i pomodori (“‘U pmmdaur”) a pezzetti, il sedano (“L’occij”) ed il sale (“‘U sèl”). Le numerose varianti di questa pietanza prevedevano anche altri ingredienti come il pepe (“‘U pap”) e le foglie di alloro (“‘U lour”). Dopo aver aggiunto dell’acqua per la cottura, l’apertura della pignata veniva chiusa con una superficie di impasto fresco di farina (“Moss d farjn”); il contenitore veniva così posto su due blocchi di tufo (o un triangolo di ferro chiamato “Trjstjd d fjr”) con al centro il fuoco basso per la cottura lenta, alimentato con carbonella (“Carvnèd”) e rami secchi.
La cottura durava circa tre o quattro ore, al termine veniva rotto l’involucro di pasta di farina (foto a sinistra), ormai indurita, che ricopriva l’apertura della pignata e si mescolavano gli ingredienti; infine, mediante il mestolo (“‘U chppjn”), si procedeva con l’impiattamento in piatti di argilla (“Uauattid”), con una spolverata di formaggio di pecorino grattuggiato.
La festa, in dialetto “La uasciazz”, si protraeva fino a tarda notte, fin quando ognuno faceva rientro a casa soddisfatto per aver trascorso qualche ora in compagnia ed in allegria.