Il 2 novembre di ogni anno ricade la commemorazione dei defunti. Si tratta di una ricorrenza molto sentita e partecipata, in questa giornata infatti si usa recarsi al cimitero per far visita ai propri cari, porre vicino le lapidi dei fiori ed accendere in casa un cero in loro ricordo.
In passato l’avvicinarsi del 2 novembre era scandito da una serie di usanze che contribuivano a mantenere in famiglia un clima di preghiera e raccoglimento. L’atmosfera silenziosa e lugubre si avvertiva già dai giorni precedenti; erano vietati balli, canti, non si suonava e non ci si riuniva per far festa. I materani si incontravano per pregare in chiesa, dove per l’occasione il 2 novembre veniva allestita simbolicamente una bara ricoperta da un telo nero. In simbolo di devozione per le anime del Purgatorio (in dialetto “L’onm du Priaterij“) si usava donare ai poveri dei legumi, sostituiti successivamente da pacchi di pasta.
Ogni paese aveva le proprie leggende, legate in ogni caso alla presenza dei fantasmi che in questi giorni comparivano sulla terra per lasciare messaggi o avvertimenti ai propri cari. In particolare, secondo alcune credenze, le anime che stazionavano nel Purgatorio scendevano in processione dal vecchio cimitero comunale, in via IV Novembre, fin dentro i Sassi portando un cero acceso, per poi sparire nel buio. Un’altra versione del racconto aveva come protagonista della processione Sant’Eustachio a cavallo, con in mano una spada.
E’ bene ricordare come fino al XIX secolo non esisteva un vero e proprio cimitero cittadino, infatti si era soliti seppellire i defunti nei centri abitati, soprattutto nelle chiese o nelle aree antistanti i luoghi di culto. Le precarie condizioni igienico-sanitarie favorite da questa usanza spinse il 12 giugno 1804 l’Imperatore Napoleone Bonaparte ad emanare il famoso Editto di Saint Cloud, un provvedimento secondo il quale le sepolture dovevano essere concentrate in luoghi al di fuori dei centri abitati, possibilmente sulle alture; nacque quindi quello che i materani chiamano “Cimitero vecchio” (la sua costruzione è attestata al 1841). Risalgono ad un periodo antecedente all’emanazione dell’editto le numerose sepolture trovate sia nei Sassi sia durante i lavori di rifacimento delle principali piazze del centro storico di Matera, come piazza San Giovanni, via San Biagio e piazza San Francesco.
Un’altra leggenda altrettanto diffusa riguardava un monaco bianco (in dialetto materano “N’ men’ch vstjt d bionch“) che compariva la sera del 2 novembre negli angoli più cupi delle strade dei Sassi, nei vicinati dove c’era stato un lutto, oppure, secondo tradizione, nella discesa del Ponticello fino alle “Scale di Sant’Antonio” (dall’accesso ai Sassi da piazza Vittorio Veneto fino alla chiesa di Sant’Antonio Abate). Secondo le dicerie questo personaggio attraversava, munito di bastone, la strada per poi sparire nel muro. Oltre al monaco bianco, per le vie dei vecchi rioni in tufo comparivano anche delle ombre, in dialetto denominate “La malambr” oppure “L’ambra lambr“, le anime dei morti che scoraggiavano gli umani a percorrere il loro stesso tragitto.
E’ facile immaginare, in un contesto di semplicità ed ignoranza, i gruppi di persone che molto spesso si formavano intorno ai luoghi dove avvenivano queste apparizioni, con il narratore impaurito ed intento a raccontare l’accaduto. Si trattava senza dubbio di un culto, quello dei morti, molto rispettato, venerato e temuto. A testimonianza del fatto che i defunti venivano considerati, per certi aspetti, ancora in vita, in ogni casa venivano allestiti degli angoli con foto e lumini accesi, in ricordo dei propri cari.