In passato, quando la povertà era molto diffusa tra le famiglie, gli oggetti in disuso o danneggiati non venivano mai gettati nella spazzatura, bensì riutilizzati per altri scopi o semplicemente conservati. Frequente era il baratto, che aiutava a sopperire alle mancanze della famiglia cercando di limitare il più possibile le spese.
Le stoffe ridotte a brandelli come i pantaloni, le maglie, le gonne, le camicie, che ormai non potevano essere ulteriormente rattoppate o cucite con delle toppe (“R’pzzèt“), venivano accumulate e conservate in sacchi di liuta. Questa operazione era effettuata dal cosiddetto cambiastracci (” ‘U cangiastrozz“), generalmente un uomo, che pur di guadagnare pochi soldi per sfamare la famiglia girava per le vie dei Sassi periodicamente, raccogliendo le stoffe. Le donne sapevano esattamente il percorso e soprattutto in che momenti incontrare il cambiastracci; quando lo sentivano passare nei pressi della propria abitazione, con il tipico carretto trainato da un mulo o da un asino, si avvicinavano ed operavano lo scambio.
La merce veniva prima pesata con una stadera, cioè una bilancia portatile costituita da un piatto in rame e da un’asta orizzontale, successivamente posta sotto il traino, su di una rete o un telo di grandezza pari all’intero perimetro. In base al peso della merce consegnata, ” ‘U cangiastrozz” contraccambiava con degli arnesi di uso casalingo: pentole in rame di varie misure (“La tjn, la tianèd, la bagnaraul“), padelle (“La sartoscjn“), catini smaltati (“Vacjl“), imbuti (“Mtjdd“), oggetti in argilla come la brocca (“La rzzaul, ‘u rzzjl“), il cucumo (” ‘U chichm“), il piatto (“ ‘U piott“), l’anfora (“La capès“) e moltri altri. Altre volte le stoffe venivano scambiate con utensili utilizzati per la lavorazione della terra: la falce (“La folcj“), la zappa (“La zopp“), il piccone (” ‘U zappaun“), l’accetta (“L’accjttidd“) ed altri ancora. Una volta terminato il giro della raccolta, la merce ottenuta veniva venduta prima ai mediatori (“Zanzèn“) e dopo ad imprenditori, procedendo così al riciclaggio dei materiali. Spesso queste materie venivano trasformate in carta.
Il lavoro del “Cangiastrozz” è sopravvissuto all’esodo dei materani dai rioni Sassi (anni ’50/’60). Anche quando la gente andò ad abitare nei quartieri nuovi (detti rioni di risanamento) il cambiastracci continuò a lavorare per le vie della “Città nuova”, sempre in compagnia del suo fidato asino e dell’immancabile carretto. Il progresso che si è fatto largo a partire dagli anni ‘60 ha portato via via verso l’utilizzo di materiali più moderni (come la plastica) ed all’abbandono della tecnica del riuso, di conseguenza il mestiere del cambiastracci è sparito.