‘U mt’taur – Il mietitore

Il mestiere del mietitore (” ‘U mt’taur“) è molto antico e faticoso, legato strettamente alla terra ed alle stagioni. Per la precisione, questo lavoro stagionale dipendeva dal periodo della mietitura del frumento, dell’avena e dell’orzo (all’incirca tra la seconda metà di giugno e la seconda di luglio). Il mietitore poteva lavorare in tre diverse modalità: sul proprio appezzamento di terra, a giornate nelle terre del padrone (“ ‘U patrnèl”) oppure salariato del proprietario (“A cmnonz”). Per saperne di più consigliamo la lettura di due paragrafi: “La mietitura del grano nel passato” e “La storia dei mulini di Matera“.

Nei periodi interessati dalla mietitura accorrevano in città i contadini provenienti dai paesi limitrofi. Spesso il luogo d’incontro per stipulare l’accordo era in pieno centro (“N’minz a la fndèn”), precisamente nei pressi dei “Due pezzoni (“ ‘U du pjzzjn”), cioè di fronte al palazzo di giustizia; due grosse pietre erano “Testimoni” dei contratti, garanti per la paga e per la quantità di lavoro da svolgere.

Il lavoro iniziava alle prime luci dell’alba; i contadini partivano per la campagna molto presto con i mezzi propri (mulo o asino per i più fortunati), oppure in gruppo salivano su di un traino e venivano trasportati a destinazione. Il lavoro si svolgeva per la maggior parte della giornata sotto il sole cocente, per cui il mietitore indossava un cappello, nel caso di un uomo, o un fazzoletto di colore chiaro, nel caso di una donna, per proteggere il capo.

L’abilità del mietitore era quella di saper usare la falce senza farsi del male. Proprio per questo motivo si usavano dei pezzi di canna incanalati nelle falangi delle dita della mano sinistra, per i destrorsi, mentre sull’altro braccio veniva legato un pezzo di cuoio per evitare le abrasioni cutanee provocata dagli steli secchi delle spighe. Per evitare lacerazioni alle gambe, invece, gli uomini indossavano pantaloni lunghi, scarponi o stivali, le donne invece calze spesse e robuste. Tipico del mietitore, donna o uomo, era il fazzoletto posizionato sul collo, spesso di colore rosso a pallini o quadratini chiari, utile per asciugare il sudore dovuto alla tanta fatica.

Il mietitore doveva saper legare i fasci di spighe di grano, creati a partire da altre spighe intrecciate ed adagiate sul terreno a formare le gregne (“ ‘U riagn“); tutte le spighe dovevano essere rivolte verso l’alto. I covoni venivano formati in un secondo momento unendo le gregne che si trovavano entro una certa distanza.

Al contadino che doveva effettuare un lavoro plurigiornaliero veniva offerto anche il vitto, costituito essenzialmente in pane, pomodori, formaggio e salsiccia a pranzo; se il lavoro era nei pressi di una masseria, il vitto comprendeva anche un piatto di pasta accompagnato dal vino. Chi invece mieteva per proprio conto preparava il mangiare a casa e lo portava con se, avvolto in un tovagliolo di dimensioni grandi (“Mappjn“), solitamente di colore chiaro a fasce, tessuto in casa; caratteristica era la doppia legatura che chiudeva il sacchetto. Un altro oggetto indispensabile per il mietitore era il cucumo (” ‘U chicm“) che, riempito d’acqua, serviva durante la giornata per dissetarsi; questo veniva posto all’ombra di alberi, gregne o semisepolto sotto terra per preservarne la freschezza.

La paga veniva effettuata a lavoro ultimato o secondo gli accordi presi in precedenza davanti ai “Due pezzoni”. Una scadenza frequente era rappresentata dalla vendita del grano al mulino, generalmente nel mese di agosto. Intorno agli anni ’30 la paga divenne personalizzata ed oscillava tra le cinque e le dieci lire, variando a seconda delle credenziali, dell’esperienza, dell’età e del sesso.

Con il passare degli anni, l’avanzare della tecnologia (e quindi lo sviluppo di macchinari più veloci ed efficienti) e l’aumento del benessere hanno reso sempre più raro il mestiere del mietitore, oltre che meno richiesta la mano d’opera in generale nei campi.

Gli utensili

FolcFalce

UanlucchijCanne

Stuzz d pèddPezzo di cuoio

Ti potrebbe interessare anche: