Il trainiere (” ‘U trainjr”) era il conducente del traino (” ‘U traijn”), il mezzo grazie al quale venivano trasportate merci e persone. I contadini usavano il traino per vari scopi, ad esempio per spostarsi verso le campagne vicine o i paesi lontani. Non solo, lo strumento era un fondamentale ausilio per l’attività lavorativa nei campi; tra gli impieghi vi era il trasporto dei sacchi di grano dalla campagna al mulino o verso la propria casa, oppure della paglia ricavata dalla mietitura per consentire di foraggiare i cavalli durante l’arco dell’anno. A volte il trainiere non coincideva con il contadino, in tal caso questa figura si rendeva disponibile per ogni esigenza di trasporto.
In un contesto di povertà assoluta il traino ricopriva anche altri ruoli, in base alle necessità; ad esempio, veniva utilizzato dalle famiglie per i traslochi. Proviamo ad immaginare una tipica scena di qualche decennio fa, con un traino carico di mobili (non troppi a dir la verità) costretto a compiere più viaggi nelle ripide salite dei Sassi per aiutare una famiglia a cambiar casa; ciò avveniva generalmente a ferragosto, in cui ricadeva “Santa Marij”, giornata di festa e di riposo dal lavoro di campagna, quando la mietitura e la trebbiatura erano ormai concluse.
Non tutte le famiglie potevano permettersi un traino; come per gli animali da lavoro come il cavallo, il mulo o l’asino, molto spesso ” ‘U trajin” veniva prelevato in fitto nei momenti del bisogno. Possedere un traino voleva dire innanzitutto effettuare manutenzione ordinaria: posizionare il grasso sull’asse delle ruote (“Ngrjassè ‘u rait”), regolare il freno sulle ruote (“La martjlljn”), pitturare le ruote con il minio (per renderle più resistenti alle intemperie), riparare il legno che componeva il cassone del traino e la luce (” ‘U lampèr”), posta sotto il cassone, per rendere visibile il veicolo durante i viaggi notturni.
Un trainiere portava sempre con se una borraccia, detta “Cucumo” (” ‘U chicm d’ocqu”), per dissetarsi, ed un secchio, per far bere l’animale con l’acqua prelevata nei pozzi (” ‘U piz”) dislocati nelle campagne. Per i viaggi più lunghi si provvedeva a preparare del pane con del companatico (” ‘U pèn e u cmpanotjch”), come il formaggio (“Frmoggij”) ed i pomodori (“Pmmdaur”), arrotolati in un fagotto di tela (“La mappjn”), generalmente con fantasia a quadretti con righe rosse, preparata a mano mediante tessitura. Non poteva mancare una frusta (” ‘U scrisciod”), maneggiata solitamente con la mano destra, usata per incitare l’animale a mantenere una certa andatura. Il trainiere aveva cura anche dei finimenti (” ‘U fnmjnt”) del cavallo: lustrare gli anelli metallici e le fibie, addobbare l’animale con nastri e campanelli e riparare gli zoccoli. Oltre al cavallo, asino o mulo, il trainiere aveva un altro animale come compagno di viaggio: stiamo parlando del cane (” ‘U cuen-trainjr”), solitamente di razza volpino, che seguiva il percorso del traino ed aveva il compito di segnalare eventuali pericoli o la presenza di persone non conosciute.
A differenza del traino, la carrozza (“La carrez”) era il mezzo di trasporto utilizzato dai benestanti e dai galantuomini (“Ialandumn”) per il trasporto di persone; in alternativa c’era il calesse (“Char abancs” o “Charabel”) guidato dal cocchiere (” ‘U chjcchjr”).