I secoli XVII e XVIII furono molto difficili sotto l’aspetto della vita a Matera. La miseria era dilagante e le malattie molto diffuse. L’agricoltura rappresentava la forma di sostentamento più diffusa tra i materani, la crescente povertà spinse il popolo a richiedere ai nobili l’assegnazione di nuove terre ai contadini. In questa situazione di tensione si arrivò alle soglie del XIX secolo. Il Sud Italia faceva parte del Regno delle Due Sicilie dominato dalla dinastia dei Borbone, mentre le regioni settentrionali erano frastagliate in più stati. Qualche decennio più tardi cominciarono i moti liberali che miravano ad unificare in un unica nazionale l’intera penisola.
A Matera le famiglie nobili erano spaventate, vedevano nei moti liberali una minaccia concreta che metteva in pericolo il controllo plurisecolare che loro stessi detenevano sulla città; per questo motivo la classe nobiliare era filo-borbonica. In prossimità dell’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, anche in Basilicata si diffusero i comitati liberali; tra i tanti borghesi che ne entrarono a far parte vi fu il conte Francesco Gattini. Le famiglie nobili materane riuscirono ad ingannare i poveri contadini ed a convincerli che la mancata spartizione dei terreni demaniali era causata proprio dalla classe borghese, filo-liberale. Il malcontento dei contadini crebbe a tal punto da uccidere il conte Gattini il giorno 8 agosto 1860.
I contadini materani e, in generale, di tutto il Meridione erano troppo impegnati nella lotta per la sopravvivenza per occuparsi di questioni ideologiche e politiche. E’ per questo motivo che nel corso del XIX secolo gli agricoltori avviarono numerose ribellioni anche nei confronti dei Borboni. Ad esempio, nel 1848 non bastò la parziale riduzione della tassa sul grano, i contadini avviarono una rivolta che partì da Palermo e si diffuse in tutto il Sud, sedata a fatica dall’esercito borbonico.
L’unità d’Italia avvenne grazie al generale Garibaldi ed ai suoi Mille soldati, nel 1861 anche il Regno delle Due Sicilie fu annesso al Regno d’Italia sotto la dinastia dei Savoia. Tra i Mille garibaldini si distinse anche un materano, il suo nome era Giovanni Battista Pentasuglia, specialista in telegrafia. Dopo lo sbarco di Marsala, Pentasuglia riuscì ad impadronirsi degli uffici telegrafici del posto, riuscendo a bloccare ogni tipo di comunicazione dell’esercito borbone.
La città ha deciso di dedicare una via al suo eroe garibaldino, precisamente tra via Santa Cesarea e via Gattini, oltre che l’Istituto Tecnico Industriale Statale di Matera. Il 17 Marzo 2011, nel corso delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la villa comunale di Matera è stata intitolata all’Unità d’Italia, a Giovanni Battista Pentasuglia è stato dedicato un busto in bronzo eseguito dall’artista Raffaele Pentasuglia (suo lontano discendente).
A seguito del plebiscito del 17 marzo 1861, fu ufficializzata la nascita del Regno d’Italia, con capitale a Torino e capeggiata da Re Vittorio Emanuele II.
L’Unità d’Italia di certo non migliorò le condizioni catastrofiche in cui riversava la Basilicata, e di conseguenza anche Matera. Il crescente malcontento sfociò nel cosiddetto “Brigantaggio”, ovvero un fenomeno di ribellione nei confronti dell’esercito sabaudo, visto come il nuovo oppressore. I briganti molto spesso agivano in piccoli gruppi, fino ad arrivare a qualche decina di persone. La storia di Matera ricorda ancora oggi due briganti che hanno combattuto l’esercito piemontese, Eustachio Fasano ed Eustachio Chita, quest’ultimo famoso come “Chitaridd” (nomignolo dovuto alla sua bassa statura). Le dilaganti insurrezioni popolari furono represse duramente dall’esercito del Regno.
In questo periodo storico, che arriva fino ai due conflitti mondiali, il divario tra Nord e Sud Italia aumentò, rafforzando la povertà in cui la popolazione era costretta a vivere in Basilicata. I Sassi di Matera in quei decenni erano sinonimo di estremo degrado e di epidemie. Una situazione che si accentuò anche durante la Prima e la Seconda Guerra mondiale, prima di salire alla ribalta dell’attenzione nazionale con Togliatti prima, che la definì per l’appunto “Vergogna nazionale“, e con De Gasperi poi. Problema a cui i politici italiani risposero con lo sgombero coatto dei Sassi ordinato nel 1952.