Fino alla fine del Settecento l’ecosistema Sassi aveva mantenuto un regime di sostenibilità grazie a principi innovativi per l’epoca, oggi più che mai attuali: la conservazione delle acque, lo stoccaggio dei rifiuti ed il riuso degli spazi. L’espansione cittadina e l’improvviso e vertiginoso aumento demografico, uniti alla crisi della pastorizia, furono tra i fattori che portarono ad un graduale sconvolgimento della situazione. Il perimetro cittadino fu allargato con le prime costruzioni sul “Piano”, interessando un’area che va dall’attuale piazza Vittorio Veneto a via Ridola, Piazzetta Pascoli e Vico Case Nuove. Le grotte dei Sassi furono ampliate per ospitare nuclei familiari sempre più numerosi: in alcuni casi si scavò ulteriormente verso le viscere della terra, in altri si decise di trasformare cisterne e chiese rupestri in camere o abitazioni. Di conseguenza diminuì rapidamente il quantitativo d’acqua a disposizione delle circa ventimila persone che vivevano ammassati in ambienti piccoli e malsani, soggetti alle malattie più svariate.
(una tipica famiglia all’interno di una piccola casa dei Sassi)
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la denuncia di Carlo Levi per la prima volta Matera salì alla ribalta nazionale e diventò il caso più eclatante di come l’arretratezza e la povertà avevano scavato radici profonde nell’Italia meridionale. I Sassi erano un groviglio di case sovraffollate, sporche, senza le più elementari condizioni sanitarie per vivere degnamente (a cominciare dalla mancanza della fogna e di acqua corrente). Il sistema di raccolta delle acque di scolo era basato sui “Grabiglioni“, dei canali in parte naturali ed in parte scavati dall’uomo in cui confluiva l’acqua sorgiva dalla collina di Lapillo (dove sorge il Castello Tramontano) prima di terminare la sua corsa nel torrente Gravina. I “Grabiglioni“, che sorgevano in corrispondenza delle attuali via Fiorentini e via Buozzi, in seguito furono ricoperti dalla pavimentazione in età fascista. Nelle grotte scavate nel tufo arrivarono a convivere uomini ed animali insieme, quasi a voler sottolineare il dover lottare spalla a spalla per la sopravvivenza. Nella miseria gli abitanti dovevano necessariamente guardare avanti: non c’era tempo per piangere i morti per le malattie più disparate, malaria nella maggior parte dei casi. Secondo le statistiche, la mortalità infantile raggiunse a Matera una percentuale catastrofica, basti pensare che su 1000 bambini nati 463 nascevano morti, contro la media nazionale ferma a 112.
“Dentro quei buchi neri dalle pareti di terra vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento erano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha in genere una sola di quelle grotte per abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini, bestie. Di bambini ce n’era un’infinità. nudi o coperti di stracci. Ho visto dei bambini seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie. Era il tracoma. Sapevo che ce n’era quaggiù: ma vederlo così nel sudiciume e nella miseria è un’altra cosa. E le mosche si posavano sugli occhi e quelli pareva che non le sentissero coi visini grinzosi come dei vecchi e scheletrici per la fame: i capelli pieni di pidocchi e di croste. Le donne magre con dei lattanti denutriti e sporchi attaccati a dei seni vizzi, sembrava di essere in mezzo ad una città colpita dalla peste.”
(Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli)
La denuncia di Carlo Levi portò Matera al centro dell’attenzione nazionale. La politica italiana iniziò ad interessarsi alla questione: il leader del partito Comunista italiano Palmiro Togliatti per primo giunse nel capoluogo lucano nel 1948 per guardare con i propri occhi come gli abitanti erano costretti a vivere in compagnia delle bestie. Senza mezze parole definì i Sassi “Vergogna nazionale“, un male da estirpare con la forza bruta per restituire dignità alle persone. Altri intellettuali si interessano alla vicenda, parliamo ad esempio di Tommaso Fiore, Francesco Compagna, Manlio Rossi ed il sociologo americano George Peck.